L’alba è alle spalle, incombe come il fragore di un tuono. L’orizzonte prende vita, i flutti del mare nero si colorano di rosa e la schiuma è bianca come la luna mozzata della notte appena morta.
“Signore, non si contano più i giorni dacché siamo accampati qui”
In silenzio, il signore fissa il mare in festa con schizzi, spruzzi, sbuffi e vortici.
“Cosa aspettiamo signore? Gli uomini sono nervosi, si fanno domande, ed inizio a farmele anche io, vostro umile servitore”
Alcuni gabbiani sfrecciano davanti agli occhi del signore di Richard.
Nessuna risposta, nemmeno un cenno della testa.
Richard rimane alle sue spalle, senza aggiungere altro; si gira e vede gli intendenti chinare il capo, altri scuoterlo in segno di disapprovazione.
“Con rispetto, sire…..” e così dicendo si inginocchia prima di allontanarsi.
Una folata di vento scuote il ciuffo e nel crescere di potenza, smuove il mantello di lana, rumorosamente.
Il vento soffia forte ora, da sud, da terra, da quella terra abitata dagli uomini del Nord da dieci generazioni oramai.
“Richard, mio fedele servo…” non si gira, il mantello si muove per il vento, aderendo al corpo imponente, possente, con spalle larghe e gambe forti, i capelli lunghi e neri impazziti.
Il mare cambia colore, cambia forma, pare respirare ora, quasi ansimare, è eccitato dalla presenza di quell’uomo sulla sua sponda. Ancora un passaggio di gabbiani. Le nuvole corrono veloci e si dissolvono subito dopo la costa; l’orizzonte ora ha la sua linea, cielo e terra sono di nuovo separati, il sole è caldo nonostante la fine di settembre.
“Avete aspettato, voi tutti, per lunghi giorni, qui, radunati tutti voi, su questa scarna costa, senza sapere, senza sentire nulla, senza vedere niente. Con una sola promessa: l’azione! Ebbene, Richard….”
Si gira ora, la luce sul viso carezza gli occhi marroni come la terra che calpesta e la barba folta e dura come il suo sguardo, che non esita neanche davanti al sole.
“….ebbene Richard, e voi fratelli miei (alza la voce), tutti voi, uomini ardimentosi, uomini valorosi, giganti in terra da scuoterla ad ogni vostro passo, a voi, prometto l’azione che volevate. A voi ,oggi, io, Guglielmo II , settimo Duca di Normandia, vi dico di partire, che il vento è cambiato, il mare è nostro. Volgete con me lo sguardo oltre il mare, verso la terra degli Angli e dei Sassoni, a riparare il torto subito ed a calpestare la terra dell’immortalità. Navigate con me, cavalcate con me, verso l’Anglia, verso la vittoria, verso la gloria imperitura. Nessuno dopo di noi oserà tanto, nessuno dopo di noi potrà guardarci negli occhi, nessuno dopo di noi potrà dimenticarci”.
Gli uomini ora tremano all’unisono. Di paura. Di eccitazione. Il vento mulina tra gli ottomila radunati lì, tra gli spazi vuoti incastonati tra pelle, armature, scudi, spade, archi e fiati. Il sole schizza in alto. Spalancano gli occhi sulla figura illuminata del loro signore, di Guglielmo, stagliata nitidamente sulla roccia in bilico sul mare. Il duca sembra anche più alto di quanto già non lo sia.
Ora impugna l’elsa della sua spada, e stende il braccio verso il cielo.
Dex Aie!!
L’urlo di Guglielmo è un ruggito, che tutto scuote, da dentro, nel profondo delle carni e degli animi di quegli animi.
Il brusio diventa frastuono. La risposta non si fa attendere.
“Dex Aie!! Dex Aie!! Dex Aie!!”
Il grido di guerra riecheggia per tutta la foce della Somme, risale il fiume e fa volare gli uccelli annidati ancora negli alberi.
E’ un tuono nel cielo sereno.
“Fratelli, Dio ci aiuta. Con me, ora!”
Nuvole di terra e polvere si alzano ora da Dives-sur-Mer.
“Signore, nella Terra degli Angli?”
“Si Richard, è lì che si compierà il mio destino. Nella Terra degli Angli!”
“Sire, ma….. nessuno prima..”
“Si Richard, nessuno prima. Nessuno prima di cui si ricordi il nome. Solo uno passò mille anni fa. Ora passeremo noi, e dopo di noi mai nessuno passerà. Facciamo questo perché noi lo vogliamo”
“Mi sento così piccolo, signore… così inutile”
Guglielmo guardò dritto negli occhi il cavaliere.
“Mi chiamano “il Bastardo” da quando sono nato, nonostante nelle mie vene scorra il sangue di Roberto il Magnifico, mio padre”.
Abbassa gli occhi Richard, quasi si vergognasse per quell’onta subita dal suo signore.
“Mia madre era figlia di un conciatore, e si innamorò del suo signore. Hanno cercato di uccidermi innumerevoli volte; ho dormito solo quattro volte per due notti di fila nello stesso posto ed hanno ucciso i miei quattro tutori, arrivando più volte sino a me”.
Sposta la maglia di ferro, lasciando intravedere profonde cicatrici che solcano il petto.
Il suo mento ora è di granito. E Richard abbassa ancor di più la testa, quasi fosse inginocchiato.
“Eppure, io sono qui Richard. Io sono qui, su questa terra. La mia terra. Su cui ho versato il mio sangue, quello dei miei fratelli e quello dei miei nemici. Non mi hanno spezzato, non mi hanno piegato, non mi hanno scalfito l’animo. Ho vissuto nell’insicurezza e nella paura per troppo tempo, a lungo. Ho capito il senso di tutto questo. Ho capito che il mio nome è legato a questo mare, a quella terra. Sosterrò il peso di questa impresa, conquisterò l’Anglia, riparerò al torto subito. Perché nessuno più oserà mettersi contro di me, contro la mia terra, contro i miei fratelli”.
Il prode Richard guarda assorto il suo signore allontanarsi verso l’esercito in fase di imbarco sulle scialuppe.
Cosa lo attende? Vivrà abbastanza per vedere il sogno di Guglielmo II, settimo duca di Normandia, figlio di Roberto il Magnifico e Harleva di Falaise, realizzarsi?
Le domande così come si pongono così scompaiono.
Ecco il palco della storia che si agghinda di figuri e di menestrelli, di cantori ed urlatori, tutti col proprio copione, il destino, a guadagnarsi il passaggio ambito.
Guglielmo salpa quella mattina stessa, con destinazione l’Anglia.
Guglielmo.
Il Conquistatore.
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