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Archive for ottobre 2012

Una porta socchiusa.
Una striscia di luce illumina un letto disfatto.
L’aria sa di chiuso, di notte, di sonno.
Di riposo, di fiato, di attesa.

Il legno è bianco. Laccato.
Il pomello è d’ottone. Dorato.

I polpastrelli spingono lievi la superficie.
La striscia diventa un rettangolo.
Due occhi chiusi.

I miei battiti aumentano….

Terrazza sul mare.
Azulejas biancoblu e tavolini di ferro.
Ringhiera di ferro.
Sedie di ferro.
Cielo di ferro.
Occhi di ferro.

Mastico qualcosa, credo sia cibo.
Sono seduto davanti di nuovo a quegli occhi.
Questa volta aperti.

I miei battiti aumentano….

Aperta campagna.
Notte di ottobre.
Nuvole d’argento e letto di stelle.
Gli alberi ballano
le foglie cantano.
Il terreno è umido
le mie mani marroni.
Un volto di porcellana mi scruta
lo sento vicino
lo sento vicino alla guancia
sento un pezzo di carne e pelle,
un naso
sfiorarmi la barba
è freddo
e sputa rantoli di respiro
un affanno pauroso
un risucchio dalle viscere della terra,
mie,
sue,
di tutti gli animali.

I miei battiti aumentano…..

Il risveglio è sempre amaro, sporco e vuoto. Mi toglie qualcosa, mi riporta dove non voglio, dove non posso, dove non sono. Piombo.
Piombo ovunque.
Piombo per terra.
Piombo io.
Tutto è pesante, tutto è lento, tutto è snervante, tutto è soffocante.

I miei battiti aumentano…..
Il mio cuore è pesante, stretto,
stridula come i violini presi a calci
in giorni vuoti
che non rendono
quel motivo che ce la fa fare un po’ da queste parti.

Il mio cuore non regge.
Il mio cuore non è un gregge.
Il mio cuore è leggero.
Perché io sono quel che sono.
E non posso essere quel che sono.

Mi sento il piombo dentro.
I miei battiti aumentano…

 

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putrido

Ti sento.
Sfiorarmi i capelli.
Sfiorarmi le orecchie,
con la bocca.

La apri ma un silenzio torbido mi annebbia la vista.
Vorrei venderti il mio incantesimo,
vorrei stare calmo,
vorrei vedere bruciare il mondo,
stenderti su un materasso schifoso e lurido,
e darti i miei migliori colpi.

Un massaggio cardiaco
senza mani
fatto di lingua e sangue.

Mi emoziono
schifato
schivato
prima chiudevo gli occhi per non vedere
ora per vedere. Meglio.

Naufrago tra acquazzoni di ricordi
e schiaffi morali
avvolgimenti di mantelli
e girate di testa.

Mi guardi con gli occhi tuoi
che per me indossi.

C’è una linea,
un solco
una nuova Roma.

Siamo Romolo e Remo.

Una sfida di petto
di aria dentro
ed orgoglio nero
che ci esce dalle narici e dalla bocca
e ci sta deformando.

Siamo mostri
che hanno mangiato noi bambini increduli e puri
bestie senza senso
che a niente più si legano
che bugie si raccontano
e buttano dentro come se niente fosse.

Una guerra.
Si è una guerra.
Non dichiarata
subdola
interna
silenziosa
sottopelle
gocce di veleni
sputati.

Una guerra.
In cui moriremo solo noi.
O forse solo io.

Che lo scemo per non andare alla guerra
non lo fa.

Impreco.
Decido.
Voglio la parte brutta.
Voglio il palmo della mano
le paure
le dispersioni
l’inutile
la perdita.

Domani mi difenderò
ora attacco
il sole e l’aria
e poi sparirò
in un cielo grigio che si accartoccia
sotto i rintocchi di un orologio di ferro
e lascerò che la rabbia
cresca
e sfami il mio corpo
che niente vuole.
Tranne te.

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Questa è la fine.
Della giornata.
Dei respiri.
Di spine e spie.

Per tutto questo è la fine.
La fine di un giorno.
Di una vita.

Ed il cielo cade.
Tonfa rumorosamente.
Il cielo cade, su di noi,
dentro noi,
per noi.

Si ragazzo.
Il cielo cade.
E da qui ripartiamo noi,
dal buio,
dalla mancanza di luce,
di spazio,
di speranza,
dei tuoi baci
e della tua pelle.

Faccia a faccia,
il mondo è una fiamma
la terra sputa lingue di terra bollente,
terra e legno,
acciaio e blu,
dove andrai?

Quanto mare potrai mettere tra noi?
Quanto cielo mi farai masticare?

Tu volti le spalle,
il cielo cade lady,
è tua la colpa,
è mia la colpa.

Io non lo capisco più tutto questo.
Ma il cielo cade.
Il cielo cadrà baby.

Lasciarti.
Mancarmi.

Il cielo cade.
Non lo capisci che cade,
fino a che non sei a terra…

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la noia nelle palle

Facciamo giri immensi.
E ci perdiamo.
Credendo di tornare, di ripassare dal via, di prendere sempre quello che ci aspettiamo e di arrivare alla pensione.
Qualcosa si perde sempre nel cammino, i momenti perfetti muoiono subito dopo, non tornano neanche loro.
Incantesimi spezzati.
Mi spezzano tutto.
Reni, ossa, denti, voglie.
Immune divento.
Anestetizzato da dottori scarsi che mi prendono più per noia che per bravura.
E dico sì come pioggia.
Schivo gli occhi delle donne,
e gioco con la rabbia facendomi male.
E’ la noia baby.
Me la tengo dentro,
me la sento in circolo,
me la sento nelle palle,
nella pelle,
sulle spalle.
E fisso il muro,
e si strappano le ore da quel buio che per me è domani.
Chiamo Vita qualcuno che non conoscevo
e che mi dice di aver preso il suo posto.

Io invito sempre chi mi dice “buongiorno” e mi sorride,
un posto a tavola è assicurato.
Ma poi anche lì mi prende a noia.
La noia la sento anche nelle gengive,
tra le unghie,
sulla barba che non taglio
e che rado di rado.

Ogni volta è sempre iniziare daccapo qualcosa che hai finito.
Sedersi a tavola per mangiare.
Addormentarsi per risvegliarsi.
Alzare una saracinesca per riabbassarla.
Scoparsi la stessa donna tutto il resto di una vita.

E ti prende la noia,
che con le mani si aggrappa al collo,
alla camicia,
ai capelli,
e ti trascina giù sul pavimento,
con la guancia che ti si fredda
e la noia di doverti rialzare anche per andarti a ficcare nel letto.

Una volta sono rimasto sdraiato per terra ed ho perso
la cognizione del tempo.
Non so quanto ci sono rimasto.
E lo dico perché quei momenti sono eterni
pesanti
puzzano indicibilmente.

Niente è per sempre.
Niente è per sempre.

Gli uomini si legano a cose, idee, altri uomini.
Sono così effimeri, diventano così inutili.

Mi sono annoiato anche degli uomini.

 

Dalla mattina alla sera, dal lunedì alla domenica, 12 mesi l’anno io faccio qualcosa.
Solo per annoiarmi.

E ricominciare con qualcos’altro.

Forse è quello il segreto.
Forse è quella la maledizione.

Forse è che sono nel mezzo, e tra carne e pesce non ci sono differenze che ti fanno stare da una parte o dall’altra.

Mi sono annoiato anche di scrivere

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l’antidoto

Piccole gocce sulle labbra.
Secche.
Dolore alla gola.
Ritorno a bere.
Ritorno all’indietro.
Scrollarsi tutto di dosso.

Devo scrivere.
Inizio così.
Che sempre un inizio è.

L’antidoto del veleno è il veleno stesso.

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