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Posts Tagged ‘Achille’

L’accampamento era sull’isola più piccola dell’arcipelago.
Tante tende nere, con pesanti drappe e filamenti dorati.
Il cielo terso. L’acqua del mare buttava schizzi lunghi. La terraferma fissa davanti.
I riccioli di Achille sbattevano le nude spalle, mentre assorto fissava la terra davanti a lui.
“Mio signore” – tentennò Patroclo.
Achille non si voltò.
“Abbiamo trovato solo ora una lettera a voi indirizzata” – Patroclo era imbarazzato ed intimorito.
Achille non mutò la sua postura.
“Credo che dobbiate leggerla. E’ molto importante.” – continuò Patroclo.
“Cosa ti impedisce di rileggerla una seconda volta? Cosa la tua lingua teme? Non v’è nulla da temere, Patroclo. Leggi pure questa lettera”.

E Patroclo…. obbedì

“Questa lettera che leggi ti giunge da Briseide, la donna a te rapita: l’ho scritta stentatamente in greco con la mia mano di straniera. Tutte le cancellature che vedrai, sono state le lacrime a farle; ma, nondimeno, anche le lacrime hanno il peso della parola. Se mi è concesso lamentarmi un po’ di te, mi lamenterò un poco. Non è colpa tua se sono stata subito consegnata al re che mi richiedeva, eppure anche questa è colpa tua. Infatti non appena Euribate e Taltibio mi chiamarono, fui consegnata al seguito di Euribate e Taltibio. Interrogandosi reciprocamente con lo sguardo, si domandavano, senza parlare, dove fosse il nostro amore. Si poteva aspettare: un ritardo della pena mi sarebbe stato gradito. Ahimè! Nell’allontanarmi non ti diedi neanche un bacio! Ma versai lacrime senza fine e mi strappai i capelli: mi sembrò, sventurata, di esser fatta schiava una seconda volta. Molte volte decisi di tornare ingannando la sorveglianza del custode; ma c’era un nemico pronto a restituirmi impaurita. Temevo di essere catturata di nuovo e destinata chissà dove. 
Ma, ammettiamolo, sono stata consegnata perché dovevo esserlo: sono lontana da tante notti e tu non mi reclami; indugi e la tua ira è lenta. Il figlio stesso di Menezio, mentre venivo consegnata, mi disse all’orecchio: “Perché piangi? Tra breve sarai di nuovo qui”. Ed è ancora poco non avermi reclamata: tu lotti, Achille, perché io non ti venga restituita. Ma sì, tieniti la tua fama di amante appassionato! … Quale colpa ho commesso per diventare così insignificante per te, Achille? Dove è fuggito così velocemente lontano da noi il volubile amore? Forse una sorte avversa tormenta senza tregua gli infelici e non giunge un momento più favorevole, una volta che le sciagure hanno avuto inizio? Ho visto le mura di Lirnesso distrutte dalla tua furia guerriera, ed io ero parte importante della mia patria; ho visto cadere tre uomini, accomunati dallo stesso destino di nascita e morte. Tu, da solo, sei bastato a ripagarmi di tante perdite; tu eri per me signore, marito, fratello. Tu stesso, giurando sulla divinità di tua madre, che vive nel mare, dicevi che era meglio per me essere stata fatta prigioniera. Certo per potermi respingere, benché io venga provvista di dote, e per rifiutare i doni che con me ti vengono offerti! Anzi, mi è giunta la voce che, quando sorgerà splendente l’aurora di domani, tu spiegherai le vele rigonfie ai venti tempestosi. Non appena, me infelice, la notizia di questa azione infame giunse alle mie orecchie impaurite, il petto mi si è svuotato di sangue e ho perso coscienza. Te ne andrai e – me infelice! – a chi mi lasci, uomo brutale? Chi mi consolerà dolcemente l’abbandono? Vorrei prima essere inghiottita da una improvvisa voragine della terra od incenerita dalla fiamma balenante di un fulmine, piuttosto che senza di me le acque si facciano bianche di schiuma sotto i remi di Ftia ed io, abbandonata, veda allontanarsi le tue navi!
respice sollicitam Briseida, fortis Achille, nec miseram lenta ferreus ure mora; aut si versus amor tuus est in taedia nostri, quam sine te cogis vivere, cogi mori!”

Patroclo inghiottì rumorosamente, gli occhi chini nella polvere gialla che il vento buttava sui suoi sandali.
Sottecchi guardò il suo signore, ancora davanti a lui, ancora di spalle. Coi capelli mossi dal vento.
Per un attimo abbassò la testa. Solo un attimo.
“Signore, Briseide è stata rapita dal re delle terre montane, un regno dove si dice regni il ghiaccio e la neve, e sia popolato da balordi e barbari”.
Achille era fermo.
“Signore, Briseide non c’è più. Ha chiesto il suo aiuto. Ma sono passate troppe settimane ormai. Il suo cuore era leggero, come il suo sorriso e le sue gambe”.
“Patroclo, caro Patroclo, so bene a cosa ti riferisci. Conosco bene il re di cui tu parli. Briseide è stata rapita, si è fatta rapire e alla fine finirà schiava del suo re. Già una volta lo è stata.”
“Cosa avete intenzioni di fare, mio signore?”
“Perché hai avuto così tanta paura, Briseide? Ho troppo indugiato. Troppo tempo mi hai aspettato. Troppo. Anche per il tuo cuore vuoto che volevi riempissi”. Parlò sottovoce Achille. Il vento inghiottì veloce le parole. Nessuno le ascoltò. Forse non le disse nemmeno.
“PATROCLO!”
“Signore”.
“Avverti gli uomini. Si salpa. Domani toccheremo la Grecia. E’ la Grecia il nostro destino. E’ la Grecia che amiamo. E’ la Grecia che chiede l’aiuto. E’ la Grecia che più di ogni altra cosa al mondo dà il senso delle nostre vite. Passeremo alla storia per la Grecia. Per quello che faremo in Grecia. E’ la Grecia. Che tanto ci ha lasciato soli, ai nostri tristi destini, alle nostre solitarie notti tanto da spingerci a cercar qualcos’altro. E’ la Grecia a cui miriamo. E’ la Grecia che prendiamo.”
“Signore, il comando lo consideri eseguito.”
Un gabbiano gridò improvvisamente sopra le loro teste.
Achille si voltò verso nord, dove le montagne innevate che tenevano Briseide svettavano sotto il cielo lì cupo.
“E Briseide?”
“Patroclo.. non capisci. Briseide non è mai stata qui. Il mio nome verrà ricordato per la Grecia.”
“Ma Briseide! Signore!”
“Briseide ha fatto la sua scelta. Tornare alle origini. Per paura. Per amore. Per noia. Per voglia. Nessuno è dato saperlo. E se per questo a nessuno interessa”.
“La lasciate al suo destino?”
“Patroclo, caro. Quando capirai che il destino è un compagno bizzoso, arcigno, scaltro? Sa tutto. Sa quello che non possiamo nemmeno immaginare. Briseide vuole le montagne? Se le tenga. Achille saprà dove trovarla quando ne avrà voglia e se vorrà. Lì rimarrà. In attesa. Sospesa.
“Signore, lo sa che non è così che stanno le cose…perché mente a se stesso?”
“Patroclo. Io non mento per nulla. Io, Achille credo in questo. Il resto non mi interessa”.

Rimasto solo Achille vesti i calzari, la corazza e l’elmo. Prese la lancia, rinfoderò la spada dietro lo scudo nero.
Era la Grecia il suo destino.
A Briseide sarebbe toccato ciò che si meritava.
Chi avrebbe vissuto, avrebbe raccontato.

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Il lamento

Tot noctibus absum
nec repetor. Cessas iraque lenta tua est

 

 

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Gli occhi chiusi. 
La giornata stanca. 
La luna mangiata. 
Il balcone umido. 
Echi lontani, di voci del nord, 
che si sfilacciano e si spezzano 
e l’orecchio teso più non sente. 
Le labbra sono dure, 
gli occhi sono duri,
le mani sono dure,
il cuore si sta facendo duro. 
E’ la rabbia che ora monta. 
Una bestia cieca che mangia piano 
gusta cattiva la carne 
e ad ogni masticata 
ti guarda compiaciuta. 
Scopre il fianco lui. 
Gli occhi tristi. 
Il destino è una puttana. 
Ti viene incontro, ti saluta, ti dice quello che ti farà
ma tu non capisci, perché ti conviene, perché non vuoi. 
Perché sei un coglione. 
Così lui, ora, ha il fianco scoperto. 
La bestia si mangia quel che deve,
e gli occhi, si, sono tristi.
Legato come Andromeda a pesanti catene,
la marea sale e tutto travolgerà.
“Mi puoi dare quello che voglio?”
Un tuono spacca il cielo. 
Gli uccelli volano impazziti. 
Quando non sai che fare, rimani fermo.
Le mosse agli altri. 
Si deve perdere. 
Si deve vincere.
Non si deve un bel cazzo. 
Qui non ci sono sconfitti o vincitori. 
Qui ci sono piume e petali. 
La bellezza di una busta di plastica che svolazza nel vento. 
La bestia tira morsi. 
Lui chiude gli occhi. 
Il dolore fa male. 
Ma…. non può fare nulla. 
Il destino è una puttana. 
Achille lo sa. 
Ed è venuto a fare i conti con lui. 

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